Il toate: il colpo a distanza

Per ciò che concerne il Karate di S. Egami, si impone un’altra domanda: quali sono la portata e le possibilità del suo Karate, che esplora una nuova forma di efficacia prendendo una direzione mistica? Abbiamo visto che, tecnicamente, egli è giunto a un’efficacia mediante la quale i suoi allievi venivano proiettati senza che li toccasse. Il toate, il colpo a distanza, significa precisamente: una tecnica che permette di dominare il proprio avversario senza toccarlo. S. Egami ha detto: «Se qualcuno attacca me, me che sono così malato, morirà». Secondo le testimonianze che ho raccolto, S. Egami sembrava aver acquisito una capacità particolare, malgrado le sofferenze continue. Le persone che mi hanno riferito queste diverse testimonianze mi sono sembrare degne di fiducia. Se, alla fine della sua ricerca sull’efficacia del pugno nel Karate, S. Egami ha acquisito una capacità del genere nello tsuki, questa scoperta mi sembra rivoluzionaria. Il pugno tsuki è una tecnica che dà un impatto toccando il corpo dell’avversario, trasmettendogli una forza a partire dal punto in cui lo si tocca. La preoccupazione di S. Egami era, in primo luogo, di cercare come concentrare la forza al movimento dell’impatto. Se egli è pervenuto a proiettare questa forza partendo da una posizione lontana e senza toccare il corpo dell’avversario, bisogna dire che è la forma di tsuki di più alto livello che possiamo immaginare. In che misura la tecnica di toate è efficace? Questa domanda è oggi senza risposta, poiché S. Egami è morto. La tecnica del toate è spesso mostrata nelle dimostrazioni di Shintaido, che sono la continuazione dell’idea della pratica che aveva S. Egami. (Notiamo che il Karate di S. Egami viene praticato oggi dai gruppi dello Shotokai e da quelli dello Shintaido, «Nuova via del corpo»). Ma penso che ciò che si vede oggi nello Shintaido non abbia la stessa qualità della tecnica di S. Egami. Se si tratta della stessa cosa, è allora piuttosto un fenomeno psicofisiologico che una tecnica. Analizzo il fenomeno del toate dello Shintaido nel modo seguente. Durante le sedute di allenamento, esercitatevi ad alcuni movimenti le cui cadenze siano relativamente semplici. Immergetevi nella ripetizione di questi movimenti con il corpo rilassato, fino allo sfinimento; otterrete allora la sensazione che il vostro corpo sia diventato come le alghe sul fondo del mare, che rispondono al minimo movimento delle correnti. Questi esercizi mirano a sopprimere provvisoriamente i comandi volontari, percezioni e azioni del corpo, per lasciarlo invadere da sensazioni di livello più arcaico. Si potrebbe dire che in voi la parte cosciente si è esaurita, mentre un’altra parte, più spontanea, più vicina al registro emozionale, predomina. In questa situazione l’acuità intuitiva aumenta e la sensibilità è più aperta agli stimoli degli altri. Se vi esercitate tenendo le mani di un partner, potrete sentire i suoi minimi movimenti. Continuando questi esercizi, comincerete a sentire, attraverso il contatto sottile delle mani, i movimenti della volontà del partner. La sensazione importante è quella di una fusione con il partner. Quando sentite, con coloro che sono con voi, di fronte a voi, attorno voi, la sensazione di essere profondamente insieme, il vostro corpo reagisce riflettendo le loro minime intenzioni. Visti dall’esterno, sembrerete in trance, e si potrebbe dire che lo siete effettivamente. Coltivando la sensazione di comunicazione interpersonale, energetica, in queste condizioni, potete sviluppare un’acutezza particolare, che vi permetterà di captare la presenza dell’altro: dapprima i suoi movimenti, poi le sue intenzioni. In questo spazio interpersonale, ipersensibile, costruito su una reciproca fiducia, un partner potrà rispondere in modo dinamico a un’intenzione dell’altro. Quando i due partner sono lontani di qualche metro, se l’uno fa un movimento, con il pensiero di fondersi con l’altro, effettuando un’estensione volontaria e spontanea del proprio corpo nel suo spirito, l’altro, ipersensibile, reagirà come se fosse stato colpito da energia invisibile e sarà proiettato indietro. Ma, contrariamente all’impressione dello spettatore, chi sarà proiettato non sentirà il dolore che sentirebbe se venisse effettivamente colpito da un pugno. Al contrario, egli sentirà la forte, soddisfacente sensazione di effettuare un incontro e una fusione energetica notevole. In qualche modo, avrà l’impressione di aver ricevuto una scarica elettrica non aggressiva, che avvolge la totalità del suo corpo, pur stimolando un punto centrale di quest’ultimo. Questa esperienza risveglierà sensazioni differenti da quelle a cui siamo abituati. Durante l’allenamento, una persona può così imparare a liberare un livello di energia vitale, che nella vita quotidiana è tenuto sotto controllo. Quando, attraverso questi esercizi e queste esperienze, riesce a eliminare queste pressioni, essa può provare una sensazione d’essere del tutto nuova. Così, queste esperienze possono aiutare coloro che provano certi malesseri di origine psicosomatica, a recuperare la salute facendo circolare meglio l’energia e permettendo loro di liberarsi di varie tensioni. Ecco, presentata sommariamente, la mia analisi del processo del toate. Vista dall’esterno, la situazione assomiglia a quella di una persona che si fa proiettare ricevendo un colpo, ma dobbiamo capire che non si tratta di un colpo simile a quello che si porta nel combattimento di arti marziali. Non sono simili né lo stato mentale né le conseguenze. Poiché nel combattimento i due avversari sono in opposizione, la loro energia combattiva si urta e interferisce con quella dell’altro, mentre nel toate i partner sono in armonia e cercano, ciascuno, di fondersi con l’energia dell’altro. In combattimento, se uno degli avversari viene proiettato violentemente come nel toate, ricevendo un colpo effettivo, rischia di essere gravemente ferito o di morire. Invece nel toate chi è stato proiettato sentirà, ben dopo la ricezione, qualcosa come l’effetto di un trattamento radicale di benessere. Penso che l’espressione toate sia scelta male, perché questa parola, che significa «urtare a distanza», evoca l’energia di un pugno tirato come un colpo di pistola. Per questo seri adepti di arti marziali hanno voluto capire questo fenomeno e imparare questa tecnica. Alcuni lanciano una sfida, fin qui non raccolta, per testare la validità di questa tecnica. Ricordandoci l’ostinato percorso di S. Egami nella ricerca dell’efficacia dello tsuki, pensiamo che se avesse incontrato questo fenomeno nella sua giovinezza sarebbe stato certamente tra i primi a volerlo testare per verificare l’efficacia. Secondo il processo analizzato sopra è evidente che la situazione del combattimento e quella del toate sono diverse. Constatiamo, nei metodi dello Shintaido, la ripetizione di semplici gesti fino allo sfinimento, che permette di limitare gli effetti della coscienza, la scomparsa di alcuni malesseri, l’ipersensibilizzazione alla presenza altrui. Questi elementi sono simili a metodi impiegati in alcune sette. Essi riducono la coscienza e rischiano di far perdere la distanza critica rispetto a quello che si fa. Se vi sentite bene e scoprite un benessere mentale e fisico, tutto sembra perfetto. Quelli che non conoscono questa fortuna vi sembreranno perfino da compatire, perchè si sono messi su una via «errata ». In ogni caso siete convinti di seguire la strada buona. Sono i sintomi tipici di una persona che subisce l’influenza di una setta religiosa. Non voglio affatto dire che lo Shintaido sia una setta, al contrario, questa disciplina è basata su una coscienza acquisita grazie a un approfondimento delle arti marziali giapponesi. Voglio unicamente mettere in guardia contro i possibili rischi nell’applicazione di questo metodo. Il fenomeno del toate è una scoperta interessante soprattutto nel campo degli studi psicofisiologici. Forse può offrire un appoggio e un riferimento concreto per far avanzare la riflessione scientifica sulla pratica corporea. Tuttavia l’ambiguità e la confusione con l’efficacia di un colpo effettivo, mettono questo fenomeno al margine delle arti marziali con un’etichetta mistica, cosa che contribuisce a impedire di avvicinarlo con obiettività scientifica. Tuttavia, resta una domanda. Il toate praticato oggi nello Shintaido, che ho analizzato sopra, e quello di S. Egami, sono simili? Penso che non si tratti esattamente della stessa cosa. Se S. Egami ha potuto realizzare il toate in situazione di combattimento libero, di fronte a un avversario che cercava di tirargli un colpo reale, questa capacità è senza alcun dubbio un esito magnifico della sua ricerca. Si tratta allora del vero toate, in una situazione in cui l’energia di un combattente si oppone, urta e interferisce con quella dell’altro. Nella storia delle arti marziali giapponesi, si incontrano spesso testimonianze su capacità del genere. La tecnica di toate dello Shintaido e di alcune correnti dello Shotokai è accessibile a tutti attraverso un processo di allenamento. Questo permette di stabilire l’ambito di un condizionamento che facilita la comunicazione energetica tra i partner, mentre quella di S. Egami sembra invece essere stata realizzata in maniera pressoché indipendente da condizionamenti. Non possiamo certo più verificarlo, mi accontento di fare un’ipotesi. È dopo lunghi anni di intenso lavoro sulle tecniche di combattimento che S. Egami ha acquisito la propria capacità di toate. Mi chiedo se un elemento motore di questa trasformazione della tecnica non sia stato l’approssimarsi della morte, e l’integrazione della morte nella sua pratica. Avendo detto «sono morto una volta», egli prosegue le sue ricerche nel Karate con una grande vicinanza alla morte, durante gli ultimi vent’anni della sua vita. Andando al limite della vita, ha forse potuto liberarsi dagli ostacoli che impediscono abitualmente alle nostre capacità potenziali di dispiegarsi? Non è per scelta che S. Egami ha sfiorato la morte. Secondo i documenti, la maggior parte di coloro che hanno sviluppato delle capacità strane o straordinarie, avevano praticato un’ascesi che li aveva condotti vicino alla morte. Questa attitudine ascetica è presente a diversi gradi nella pratica delle arti marziali giapponesi. La pratica ascetica non costituisce un obiettivo in se, ma mira a un approfondimento della coscienza facilitando la comprensione dei fenomeni naturali e sociali. La tradizione giapponese delle arti marziali valorizza questa pratica, poiché è associata al pensiero buddista dell’approfondimento della conoscenza di se diretto verso l’apertura alla vita universale. L’acquisizione di una capacità tecnica notevole è considerata come un segno concreto dell’avanzamento in questa via e del progredire della personalità. Per questo, la ricerca dell’efficacia si accompagna spontaneamente a un’etica. Qui viene a galla il pensiero dialettico giapponese sul corpo e lo spirito: approfondendo la qualità e la capacità tecnica attraverso il corpo, possiamo elevare il nostro livello spirituale, e viceversa. Ma il lavoro sullo spirito passa attraverso il corpo. Così lascio aperta la questione per ciò che concerne il toate di S. Egami.

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