Storia del Karatedo

Innanzitutto proviamo a fare il sunto della storia del karate.
Circa millequattrocento anni fa il grande maestro Tatsuma Kesso di Saitenjiku valicò montagne e attraversò grandi fiumi, ottenne udienza con l’imperatore e diede spiegazioni circa il buddismo. Rivolgendosi ai seguaci ivi riuniti nel rispetto delle sue virtù disse:
“Si predica la verità per lo spirito ma anima e corpo sono un tutt’uno, non possono essere separati. Ora, mentre vi osservo, il mio corpo fatica insieme alla mente e non sembra assolutamente possibile l’inverso, nemmeno ricorrendo all’abilità che si acquisisce tramite le pratiche ascetiche. Stando così le cose, poiché vi trasmetto in questa sede un insegnamento, d’ora in avanti rendete vigorosi i vostri muscoli seguendo questo metodo, dopodiché sappiate cogliere l’essenza del metodo stesso”.
Il metodo per edificazione del corpo e dello spirito cui il maestro faceva riferimento venne identificato come “ekkinkyo” (ikinkyo). La dottrina del grande maestro si diffuse ovunque; quanto trasmesso allo Shorinji divenne qualche anno più tardi “shorinjikenpo”, fu introdotto nelle isole Ryukyu, si sviluppò e, con ogni probabilità, diventò l’origine del karate odierno.

KARATE E KARATEDO…

Cos’è allora il karate ?
In generale, quando se ne parla, non si ricorre tanto alla definizione “karatedo” quanto invece al termine “karate”. Parole come judo, kendo sono facili da pronunciare e anche familiari al nostro orecchio. Quando si dice karatedo è come se la palla rimbalzasse male, non ci si è abituati, forse perchè si tratta di una consuetudine che si protrae ormai da tempo. Tra le espressioni più usate compare spesso il vocabolo “te”. Si parla di “te” del judo, di “te” del sumo ecc… Anche a Okinawa si suppone ci fosse un “te”. Fino a quando mi ci recai trent’anni fa, nella stessa Okinawa si parlava di “shurite”, “nahate” e “tomarinote”. Sembra che l’appellativo di karate o tode sia stato attribuito a tali metodi, ai quali andò a sommarsi il kenpo tramandato in Cina. Si tratta di ciò che il maestro Funakoshi apprese durante i molteplici soggiorni in Cina e portò con se in patria, come anche di quel che gli venne insegnato da alcuni cinesi in visita in Giappone, ecco perchè se ne parla in termini di “tode”, così disse il maestro stesso. Inoltre, essendo ormai trascorsi mille anni da quando fu importato dalla Cina, è stato completamente assimilato e in realtà corrisponde a ciò che ci è noto come okinawate. Tuttavia venne chiamato karate o tode molto probabilmente in relazione al fatto che si trattava di un pensiero di provenienza estera, per la precisione cinese. Risale a quel periodo iniziale una pubblicazione del maestro Funakoshi circa il karate jutsu, nella quale optò per la riduzione del termine da “karatejutsu” a “karate” poiché “te” e “jutsu”, considerati appunto per questo loro significato, affiancati non farebbero che rappresentare una ripetizione. Nel karate si pensa ci fosse anche una forte componente spirituale, elemento che sta da tempo scemando, da quando il karate è divenuto una sorta di sport da competizione avente come centro Okinawa. A quell’epoca (intorno all’anno decimo dell’era Taisho) il maestro Funakoshi partì da Okinawa per recarsi a Tokyo in rappresentanza della prefettura d’origine; ebbe luogo così l’apertura al pubblico dopo il periodo di stretta sorveglianza che aveva avuto inizio in tutta la provincia qualche anno prima (Meiji 38-9). Dopo la partenza, e non senza difficoltà, si confrontò con il maestro di judo Naogoro Kano, con il maestro di kendo Hironichi Nakayama, si iscrisse alla Nimatsugakusha dove si dedicò allo studio dei classici cinesi, andò a sommare quanto appreso al patrimonio personale, approfondì ulteriormente le ricerche e ciò che risultò dalle sue riflessioni e dalle sue riconsiderazioni fu la prima modifica apportata alla denominazione che divenne “karatedo”. Di nome e di fatto la “via” indicava la direzione verso la quale indirizzarsi. In quanto arte segreta, tramandata in modo altrettanto segreto, è caratterizzata da un processo di trasmissione che tende inevitabilmente a mutare nonchè a degenerare nel tempo. Esistono altresì oppositori, di conseguenza, non si esclude il timore di modifiche di natura eterogenea. Il maestro ha prestato profonda attenzione a questo fattore e l’essenza di tanto umile addestramento non può che fargli meritare l’appellativo di “preservatore”. Il karate, uscito per la prima volta da Okinawa, qui, lontano da Okinawa, andò oltre la scuola e venne uniformato come “Nippon karatedo”. Una delle circostanze di tale standardizzazione è strettamente legata all’opera scritta del maestro “Karatedo kyokan”. Nell’ambiente del karate di allora sembra che quasi tutti coloro che venivano considerati personaggi importanti manifestarono una dura opposizione a tale cambiamento di denominazione, considerandolo arbitrario; naturalmente tra gli stessi vi furono anche figure che, al pari nostro, apprezzarono e elogiarono i meriti del maestro. Quel che è certo è che ciò che è giusto viene riconosciuto come tale. Prima o poi tutti lo chiameranno “karatedo”; attualmente tale dicitura è già in uso in tutto il mondo. Quanto detto rappresenta in linea di massima l’iter da karate a karatedo.

Se chiedessimo ai giovani praticanti a quale disciplina si dedicano, quasi certamente la maggior parte di loro risponderebbe con orgoglio e con le spalle indolenzite: “II karate”.
Probabilmente sarebbero in pochi a replicare con deferenza: “II karatedo”.
Quasi tutti praticano quel karate il cui contenuto risale a tempi antichi, prima del periodo Meiji e anche del Taisho, prima del karate del maestro Funakoshi; in realtà non si rifanno, dunque, al karatedo annunciato in modo evolutivo dal maestro dopo tanta fatica e non si prefiggono nemmeno di farlo.
Ci sono persone che si lasciano trasportare dalla moda, dalle necessità dei tempi ma chi è che rivendica le proprie esigenze e chi crea la corrente? Questo vuole essere tutt’altro che un dispetto giustificato da un lapsus linguae: che lo si chiami karate o karatedo, ai fini pratici la denominazione ha ben poca importanza. Ciò che conta è che il contenuto e l’attitudine mentale poggino sulle fondamenta della via. Io stesso non dico “karatedo” se non in casi particolari. In genere mi limito a definirmi “karateka”; essendo uno dei tanti che vive grazie al karate, credo sia normale e considero troppo formale ricorrere all’appellativo “karatedo”.
Il problema sta nell’atteggiamento mentale.
Rispondiamo, dunque, karate a chi vuole apprendere il karate e a coloro che aspirano alla via parliamo con umiltà della via, la via del karate, il karatedo. Trattandosi di una strada, bisogna camminare, andare avanti; chi si ferma o retrocede diventa un intralcio.
Si può dire senza timore d’esagerare che la maggior parte delle persone che entra in questo mondo non procede e non migliora; questa tipologia è ben rappresentata da chi dice di praticare il karate rizzando le spalle in atteggiamento trionfale. Più che parlare di progresso è il caso di pensare che, al contrario, stanno imboccando la direzione sbagliata, hanno già un piede nel labirinto. Il loro è il karate incentrato sulle gare, quello che è competizione, fisicità estrema, oppure il karate inteso come pratica ascetica, o ancora quello che è visto come un mezzo per temprare il carattere in modo tale da consentire la sopportazione di qualsiasi dolore.

Il “karatedo” corrisponde veramente a questi attributi?
Io sono convinto che non sia così perchè anche se può essere strumento per l’elevazione della forza fisica, morale logica, esercizio contemplativo, tutto ciò non è che una frazione della globalità delle sue componenti. Il karatedo è mente e corpo, è la ricerca della forma migliore che l’individuo può tracciare; mi sia consentito dire inoltre che è rappresentazione nello spazio della profonda conoscenza acquisita tramite l’esperienza, dell’universo immenso, di madre natura; consideriamolo come arte che talvolta viene espressa musicalmente, talaltra artisticamente. La forma migliore come anche la sua ricerca devono concretizzarsi nella disciplina del “karatedo” poichè l’obiettivo a cui mirare non è il karate, è la via del karate. Il pesce grosso mangia il piccolo: anche questa pare essere una peculiarità della natura. Può capitare che se non sei forte vieni sbranato ma questo accade nel mondo degli animali e non in quello degli esseri caratterizzati dalla spiritualità. Attualmente, però, non è forse vero che il forte prospera grazie alla sua autorità? E in futuro? Chi è in grado di rispondere a questa domanda? La storia ci insegna che l’arrogante prima o poi decade scomparendo.

Ci sono predecessori che hanno definito chiaramente come chikusho kenpo le arti marziali che non si discostano dal mero concetto di “pesce grosso e pesce piccolo”, vincere o perdere. In questo momento mi trovo su un altopiano, in autunno, a quota 1200 m. E’ sera. Volgo lo sguardo verso l’alto e poi lo sposto gradualmente a terra. Agli occhi che osservano per un attimo il cielo appaiono gioielli incastonati, scintillanti, che sembra di poter toccare con la mano. Le luci delle abitazioni brillano, quasi a voler rappresentare una continuità naturale alle stelle del cielo, come se potessero confondersi con esse. Nonostante la loro somiglianza, le une ci appaiono in lontananza mentre le altre sembrano vicinissime. Sotto queste luci si svolge tutto l’operato dell’essere umano. Luci infinitamente vicine a decine di migliaia, a milioni d’anni luce, luci temporaneamente accese dall’uomo: questa e la differenza. Eternità come istante. Gioia e rabbia, amore e odio, tutte le emozioni che rendono così difficile la nostra vita altro non sono che fenomeni effimeri. Nell’infinita eternità talvolta è bene allontanarsi da se stessi per rilassarsi nell’immenso cosmo; bisogna provare a abbandonarsi, distaccandosi completamente dall’io per essere assimilati dall’universo e scoprire la propria origine, piccola eppure tanto grande. Stelle celesti e luci terrestri. Vita eterna e vita fugace. Karatedo e karate. C’è un detto molto significativo: “Prendiamo lezione dal passato”. Esplorare le tradizioni di ieri per capire le novità del presente: questa è arte, verità, via. Esistono molte pubblicazioni che illustrano il karate come kata, soprattutto adesso che si sta verificando una sorta di boom, mentre è estremamente difficile reperire fonti antiche di un certo valore. In genere si tratta di testi che risalgono a un arco di tempo che va grossomodo dalla fine del periodo Meiji all’inizio del Taisho. E’ naturale che sia così, dal momento che il vecchio maestro Funakoshi è stato il primo a far sì che fossero accessibili a una più vasta platea. Tutti gli scritti precedenti sono cinesi mentre parecchi tra quelli recenti non fanno altro che modificare il contenuto enunciato dal maestro. Sembra ci siano addirittura libri talmente simili ai suoi da poter essere considerati rimaneggiamenti, per non parlare poi della diffusione di testi persino pericolosi poiché oggetto delle peggiori modifiche. Il contributo del maestro Funakoshi è stato quello di apprendere e selezionare quasi tutti gli waza tramandati nell’isola di Okinawa, di unificarli e integrarli, di cambiare eventualmente la denominazione. Concentrò la quintessenza della ricerca, creò nuovi kata e offrì ai colleghi più giovani la documentazione prodotta dai suoi studi. In conformità con la revisione del contenuto modificò il nome da “karate” a “karatedo” e si compirono i primi passi come “Via” grazie all’arricchimento di nuovi elementi più propriamente spirituali. Ciò nonostante non riconobbe agli esiti di tanto e tale impegno il valore di “cosa compiuta”; ne affidò invece il completamento ai successori desiderosi di arricchire la via, persone umili e rispettabili. In qualità di suoi allievi ora noi dobbiamo svolgere il compito assegnatoci ovvero dedicarci alla disciplina con il proposito di visitare il passato per approfondire la conoscenza delle arti marziali, dare compimento al karate come via nonché creare solide radici al vero “karatedo”. L’incarico ricevuto consiste dunque nel procedere, anche di un solo passo se non di mezzo, verso lo scopo fissato dal maestro, stando attenti a non rinchiuderci nel piccolo mondo del “karate”. La strada del “karatedo” è grande, ampia, e anche il sottoscritto, nel rispetto delle ultime volontà del maestro, si propone fin dove potrà di dedicarsi all’allenamento e di coltivare lo studio. D’ora in avanti spero che i giovani vigorosi riescano a colmare le restanti lacune e a annunciare novità di rilievo, ci credo fortemente. Ho così enunciato a grandi linee cosa sia il karate e come dovrebbe diventare il karatedo; spero in tal modo di essere riuscito a ottenere, anche se solo in minima parte, la vostra comprensione.

La via intrapresa
È la strada
Dell’uomo comune
Essa
Conduce a ciò che è supremo..
Adesso io dove sono?
Questa non è la strada sbagliata?
E la direzione?
Voglio fare chiarezza,
Sono un uomo comune.
Prendiamoci tutti per mano
Per non perdere di vista la via
Guardando la vetta
Procediamo con coraggio,
Passo dopo passo.

Morihira Ueshiba, fondatore dell’aikido, disse: “Aikido è amore”; Terusaga Inoue, creatore dello shinwa taido, sottolineò: “Comprendiamo a fondo le affinità del cosmo!”. Considero entrambi come vecchi e amati maestri; in modo particolare udii per la prima volta la parola “heiho” pronunciata dal maestro Inoue. Qual era la via tanto desiderata dal maestro Funakoshi? Nei suoi scritti spesso e volentieri ci esorta a “non contraddire la natura”. E forse intendeva proprio parlare di “madre natura”.

SHIGERU EGAMI

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